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AMIunaCittà NEWSLETTER Giugno 2016


Proseguiamo negli incontri con i cittadini dell'AMI.
Questa sera alle 21 saremo a Strambino.
Invitiamo a partecipare coloro che ne hanno la possibilità.


Nelle scorse settimane abbiamo assistito a alcune polemiche ed interventi ai quali preferiamo non dare seguito.
Ci preme di più mettere in evidenza interventi di natura diversa e espressioni di diversi punti di vista che hanno tuttavia in comune la preoccupazione per la vetustà del nostro tessuto amministrativo e la consapevolezza di quanto ciò possa pregiudicare le residue possibilità di sviluppo.
Vi presentiamo quindi un articolo de La Stampa a commento di un documento di Lega Ambiente sulla situazione demografica e non solo di molti piccoli comuni, un articolo ripreso da Il Sole 24Ore sul tema delle Smart city, una minima sintesi dello studio di Ambrosetti denominato Start City (presentazioni integrali ed ampi materiali sono disponibili in rete)

Per concludere diamo un breve resoconto del convegno promosso dal PD sulla finanza regionale e concluso da un intervento del vicepresidente Reschigna.

Abbiamo avuto modo di apprezzare la lucidità politica dell'analisi, l'onestà della denuncia della situazione di sfacelo della finanza pubblica nella nostra Regione e la chiarezza con la quale ha indicato la strada delle fusioni come inderogabile e urgente. Chi ci segue sa che il Comitato AMIunaCIttà che propone la fusione dei 58 comuni della Zona Omogenea dell'Anfiteatro Morenico di Ivrea come punto di arrivo di un percorso da impostare con urgenza e che da tempo stiamo lavorando a sensibilizzare sindaci e consiglieri comunali ad abbandonare le visioni di campanile e di pensare ad un livello di governo del comprensorio eporediese capace di impostare e gestire progetti di sviluppo.
Abbiamo ottenuto risultati importanti. Ma una spinta regionale e un chiaro indirizzo dei nuovi organi della Città Metropolitana dopo le elezioni sono indispensabili.

Buona lettura



La Stampa 1.6.2016


Un Comune su tre rischia di sparire

Il dossier di Legambiente lancia l’allarme sullo spopolamento nei municipi sotto i 5mila abitanti “In 25 anni un residente su sette se n’è andato. Ogni giovane, due anziani. Vuota una casa su tre”


Gabriele Martini

Non solo Nord-Sud, c’è un altro divario che zavor­ra l’Italia. È quello tra centro e periferia. Da un lato ci sono le aree metropolitane e i capoluoghi «a sviluppo eleva­to»: centri che hanno consoli­dato specificità imprenditoriali spesso trascinandosi dietro l’hinterland. Dall’altra c’è la pletora dei piccoli comuni: pae­sini alpini che resistono alle asperità della montagna, mini ­insediamenti abitativi abbarbi­cati sull’Appennino, municipi dimenticati da Dio e dagli uo­mini sparsi nelle campagne del Sud. Di questi mini-Comuni, 2430 (il 30% del totale) rischia­no di non sopravvivere a causa del lento (ma almeno finora inesorabile) spopolamento.
Nel Paese dei campanili l’85% dei Comuni (6875) ha me­no di 10 mila abitanti. Di questi 5627 sono incasellati dalle sta­tistiche sotto la voce «piccoli» perché non raggiungono i 5 mi­la residenti. Di più: ben 3532 (vale a dire il 43,8% del totale) restano sotto i 2 mila. Attenzio­ne però, l’Italia non ha un nu­mero di municipi superiore al resto d’Europa. A fronte degli 8 mila Comuni italiani (circa uno ogni 7500 abitanti circa), in Germania ci sono 11.334 Gemeinden (uno ogni 7213), nel Regno Unito 9434 wards (uno ogni 6618) in Francia 36.680 communes (uno ogni 1774) e in Spagna 8116 municipios (uno ogni 5687). La media dell’Ue è di un ente ogni 4132 abitanti. Il problema è un altro e si chiama crollo demografico. Speso con­seguenza della mancanza di la­voro e servizi locali
Un dossier di Legambiente (che sarà presentato oggi a Ro­ma con l’Anci) fotografa il calo di popolazione e le caratteristi­che di quello che viene definito il «disagio insediativo» dei pic­coli Comuni. Non è un pericolo marginale: nei 2430 Comuni a rischio sopravvivenza vivono quasi 3 milioni e mezzo di ita­liani, il 5,8% della popolazione. Ma in 25 anni i Paesi sotto i 5 mila residenti hanno perso 675 mila abitanti. Un calo del 6,3%, mentre nello stesso periodo la popolazione italiana cresceva del +7% con oltre 4 milioni di cittadini in più rispetto al 1991. La differenza demografica netta è quindi del 13%. Significa che in un quarto di secolo una persona su sette se n’è andata dai piccoli Comuni. La densità è scesa a 36 persone per chilometro quadrato: 13 volte in me­no rispetto agli insediamenti con oltre 5 mila abitanti.
Sempre di meno e sempre più vecchi. In quest’Italia in miniatura, dall’anima rurale, gli over 65 sono aumentati dell’83% a fronte degli under 14. Dalla sostanziale parità si è passati a oltre due anziani per ogni giovanissimo. I pic­coli comuni sono poco attraenti anche per la popolazione che arriva dall’estero. Dato ri­badito dal deficit di imprese straniere, il 25,6% in meno della media.
Il pericolo è che i borghi sia­no destinati a diventare i paesi fantasma del terzo millennio. Già oggi le abitazioni vuote sfiorano i 2 milioni (mentre so­no 4 milioni e 345 mila quelle occupate): vale a dire una su tre. E finora nemmeno il turi­smo ha salvato il patrimonio dei mini-Comuni, dove la capa­cità ricettiva è cresciuta meno della metà di quella urbana.
Il rilancio dei «piccoli» è al centro di “Voler bene all’Ita­lia”, la festa dei borghi pro­mossa da Legambiente dal 2 al 5 giugno. Per la presidente Rossella Muroni «è indispen­sabile puntare sulla semplifi­cazione amministrativa, man­tenere presidi come scuole, servizi postali e ospedali e ga­rantire risorse per la valoriz­zazione come prevede il ddl in discussione alla Camera». Anche perché «una politica che dimentica i piccoli comuni - avverte Massimo Castelli, coordinatore dell’Anci - non fa l’interesse del Paese».
L’altra faccia di questo quadro a tinte fosche è la corsa alle fusioni per razionalizzare spese e gestioni dei servizi. Il primo gennaio 2016 sono spariti 40 Comuni. E non è finita. Il governo spinge sull’acceleratore e in manovra ha confermato il contributo straordinario pari al 40% dei trasferimenti erariali dell’anno 2010 per chi si fonde. Altri sette progetti di accorpamento hanno già ottenuto il via libera dei cittadini tramite referendum. È il paradosso del Paese dei mille campanili: per salvarli, tocca superarli.



Il Sole 15.5.2016

Non solo un cumulo di problemi: le megalopoli si ridisegnano attorno alle persone.
Partendo da connessione e inclusione


di Elena ComelIi

Occupano solo il 2% del territorio, ma pro­ducono il 70% del Pil, delle emissioni e dei ri­fiuti globali. Sono le città, dove ormai si con­centra oltre il 50% degli abitanti del pianeta, in condizioni non sempre ideali, ma preferibili rispetto alla miseria che hanno lasciato.
Il processo d’inurbamento delle grandi masse ru­rali è un flusso che continua ormai da due se­coli e non si fermerà, malgrado i tentativi di frenarlo da parte di molti governi con l’impo­sizione di residenze obbligate, come il siste­ma “hukou” nell Cina degli anni Cinquanta. Dopo secoli di resistenze, comincia invece a farsi largo l’idea di accompagnare l’inurba­mento o addirittura di sollecitarlo e incanalar­lo, facilitando così la gestione di un processo che altrimenti genera sacche di sottosviluppo disastrose, sempre più difficili da bonificare.
«La principale novità nel dibattito in corso è la nuova visione dell’inurbamento come uno strumento per lo sviluppo e non solo come un’accumulazione di problemi», spiega Joan Clos, l’ex sindaco di Barcellona, oggi direttore esecutivo di United Nations Habitat, il diparti­mento dell’Onu che si occupa di sviluppo ur­bano. Clos è nel pieno della preparazione di Habitat III, la conferenza internazionale convocata a Quito in ottobre, a venti anni di distan­za dalla precedente di Istanbul, quando anco­ra l’umanità non era composta in maggioran­za da cittadini. Il processo d’inurbamento è stato rapidissimo ed è andato di pari passo con la fortissima crescita demografica degli ultimi due secoli: nel 1800 eravamo 1 miliardo e solo 20 milioni di persone vivevano in città; nel 1930 eravamo 2 miliardi, di cui 300 milioni di cittadini; oggi siamo 7,4 miliardi, di cui 4 mi­liardi di cittadini, e nel 2050 il mondo avrà quasi 7 miliardi di cittadini, il 70% dell’umanità. Nel 1950, solo New York superava i dieci milioni di abitanti, mentre oggi le città oltre ta­le soglia sono 35, di cui 20 in Asia. Ma l’inurbamento da solo non basta per portare sviluppo: nelle aree urbane miliardi di persone vivono in estrema povertà e così resterà finché questo processo sarà percepito dai governi come un flagello da evitare. «Bisogna cambiare la nar­rativa: la buona urbanizzazione porta svilup­po e sostenibilità. Va perseguita e regolamen­tata, non evitata», esorta Clos.
Città interconnesse, capaci di adattarsi alle nuove esigenze di mobilità, abitabilità, pro­duzione e consumo, ma anche in grado di resi­stere agli uragani causati dall’effetto serra, sa­rebbero la risposta giusta alle richieste di un’umanità sofferente, se solo venissero dise­gnate per l’inclusione, invece che per l’esclu­sione. La densità abitativa porta efficienza in tutti gli ambiti della vita umana: spostamenti, consumi energetici, gestione dei rifiuti, logi­stica, lavoro, intrattenimento. Ma le città di oggi sono congestionate e soggette a emer­genze continue, perché le reti di trasporti, idri­che, energetiche e gli altri servizi, compresi quelli sanitari, sono state pensate per una po­polazione molto più ridotta. La soluzione non è relegare ai margini gli abitanti, assillati dai costi immobiliari esorbitanti, ma concentrare gli sforzi nella progettazione di spazi urbani a misura di abitante, dove la densità aiuti a sfruttare i piedi o la bici per gli spostamenti di corto raggio e dove gli insediamenti si sviluppino lungo le direttrici del trasporto pubblico su rotaia, più che lungo le strade, per ridurre inquinamento, ingorghi e incidenti.
La Nuova Agenda Urbana di Habitat III, di cui è uscita una prima bozza, vuole appunto spingere i governi in questa direzione. Il punto è progettare le città dal basso e non dall’alto, da dentro e non da fuori, dando più potere agli enti locali, che nei Paesi in via di sviluppo sono spesso del tutto esautorati da ipertrofici governi centrali.
A salvare le città dalla paralisi, si dice, verrà in soccorso la tecnologia, il mercato delle tecnologie per la smart city varrà 5oo miliardi di dollari nel 2020, in base alle previsioni di Frost & Sullivan, e solo il 50% di questo mercato sarà concentrato in Europa e Nord America, che oggi sono all’avanguardia. Per rendere le città intelligenti, però, non bastano le tecnologie. La bozza della Nuova Agenda Urbana, sfilata in anni di consultazioni con la società civile, indica al primo punto la necessità dì “mettere al centro le persone”. Le parole d’ordine sono buona amministrazione, economia, ambien­te, mobilità, salute, sicurezza, istruzione, cul­tura e solidarietà. Per fare una smart city, dun­que, ci vuole una smart society. Non a caso nel­le graduatorie più diffuse le migliori smart city sono quasi sempre le stesse: Barcellona, Copenaghen, Helsinki, Singapore, Vancou­ver, Vienna... Città compatte, con sistemi di trasporto pubblico molto ben strutturati e una notevole interoperabilità modale, ma anche con una vivace vita culturale, una popolazione fiera di essere cittadina e un’amministrazione molto focalizzata sulle soluzioni più sostenibili. Le città migliori cercano soluzioni concre­te: mentre i grandi del mondo litigano, inca­paci di affrontare le emergenze ambientali, i sindaci pedonalizzano i centri urbani, sroto­lano piste ciclabili, costruiscono reti di tra­sporti pubblici, sostengono l’economia collaborativa, connettono le periferie, includono i marginali. Immaginare un futuro sostenibile è più facile partendo da un viale alberato.






CONVEGNO PD "UN SISTEMA REGIONALE DI FINANZA LOCALE"
20 maggio 2016

Dopo una breve introduzione di Davide Gariglio si sono alternati i vari relatori:
Renato COGNO - Ricercatore IRES Piemonte- nel sottolineare l'evoluzione della finanza locale, ha evidenziato una serie di criticità legate alle esigenze di sistemi informativi integrati in grado di avere una visione Regionale delle finanze locali da cui emerge la necessità di RIPROGETTARE l'intero sistema di gestione delle finanze locali.
La situazione finanziaria della Regione Piemonte è tale per cui i trasferimenti ai Comuni sono stati ridotti al minimo indispensabile.
Per contro, occorre ripensare alla contabilità dei Comuni tenendo conto dei fabbisogni e delle loro capacità fiscali. Un riferimento specifico alle Società partecipate dalla cui analisi emerge che più del 60% sono di piccole dimensioni.
Insomma, va ripensata tutta l'organizzazione cercando di individuare strumenti idonei a superare l'eccessiva frammentazione del territorio piemontese. Ha citato il progetto che AMIunaCITTA' sta portando avanti nell'Eporediese come esempio da perseguire anche in altre aree omogenee.
Un riferimento è stato fatto alla Liguria dove stanno perseguendo una strada diversa per la semplificazione amministrativa basata sulla disponibilità di Data Base comuni e condivisi.

Prof. Antonio TROISI- Già Prof. Scienze delle Finanze Università di Bari ha mostrato una serie di slides frutto di approfondite analisi sulla finanza locale.
Ha citato Einaudi circa il concetto dell'"Attaccapanni" ovvero la necessità di ancorare i dati alle risorse disponibili sapendo che la nuova legge di stabilità prevede che i Bilanci degli Enti locali abbiano tutti un saldo finale di competenza "NON NEGATIVO" nel senso che non sarà più possibile creare artificiosi residui attivi/passivi peraltro sovente non esigibili.
Inoltre ha sottolineato il fatto che non esistono più risorse aggiuntive per i Piani Strategici e quindi emerge la necessità di Regionalizzare gli equilibri di bilancio.
Dall'analisi di bilanci integrati, la situazione della Regione Piemonte, della Città Metro e delle varie zone del Piemonte presenterebbe dati non drammatici e circa nelle medie nazionali.

Santino Piazza- Ricercatore IRES Piemonte- ha presentato una serie di slides relative all'andamento degli investimenti negli ultimi anni dalle quali emerge un declino preoccupante.
Una parziale ripresa si è manifestata lo scorso anno a seguito dell'allentamento del patto di stabilità e per via delle nuove regole contabili per cui molti Comuni sono stati costretti a realizzare investimenti per evitare il congelamento di risorse disponibili.

Raffaele Piemontese- Assessore al Bilancio della Regione Puglia ha sottolineato il fatto che la Regione Puglia ha perseguito da tempo il pareggio di bilancio di competenza e pertanto gode di ottima salute finanziaria. La regione Puglia può essere considerata esemplare nella gestione dei fondi europei.
Sen. Mauro Maria Marino Presidente Commissione Finanze e Tesoro del Senato, già Presidente del Consiglio Comunale del Comune di Torino ha descritto ampiamente la nuova delega fiscale che prevede un nuovo approccio tra il fisco ed i cittadini.
Con questa nuova delega fiscale costituita da 16 articoli dei quali 11 decreti attuativi già varati, il Governo intende superare l'approccio inquisitorio/vessatorio tra fisco e cittadini finora adottato con pratiche collaborative tali da generare fiducia nelle Istituzioni. Si sta pensando anche a fiscalità premiale per contribuenti virtuosi.
A sostegno della nuova delega fiscale sono stati ipotizzati 4 pilastri:
· SEMPLIFICAZIONE
· CERTEZZA DELLE NORME
· DIMINUZIONE DELLA FISCALITÀ'
· AGENDA DIGITALE FISCALE
Altre azioni in corso riguardano:
· Revisione del Catasto basato sui mq e non sui vani per una corretta attribuzione della rendita
· Revisione della capacità di riscossione da parte degli Enti locali
· Imposizione dei redditi di Impresa
· Giustizia tributaria
· Regolamentazione dei Giochi pubblici oggi normati autonomamente e disordinatamente dai singoli Comuni. Lo Stato definirà regole chiare per applicazione omogenea su tutto il territorio.
La denuncia dei redditi precompilata rappresenta un primo adempimento che va nella direzione della nuova fiscalità.

Aldo Reschigna Vice Presidente Regione Piemonte ha chiuso il Convegno con un brillante intervento politico facendo due osservazioni fondamentali:
  • Tutti i dati oggetto delle presentazioni precedenti si riferiscono al 2013/2014 e quindi non rispecchiano la realtà contabile di fine 2015. Difatti a fine 2015 tutti gli Enti locali sono stati obbligati dalle nuove regole sulla contabilità a depurare i Bilanci da tutti quei residui attivi trascinati negli anni, sovente in maniera "disinvolta", non più corrispondenti alla realtà. Conseguentemente sono stati cancellati anche tutti quei residui passivi non supportati da entrate certe. Il risultato di queste operazioni -non appena saranno approvati i bilanci 2015- farà sì che la situazione complessiva del Piemonte sarà particolarmente pesante, forse una delle peggiori in Italia (per la Regione saranno tagliati 2 miliardi di Euro di residui attivi e tagli altrettanto pesanti verranno fatti sui bilanci delle Province). La chiusura dei conti delle Comunità Montane aggraverà ulteriormente la situazione della finanza dei Comuni.
  • L'eccessiva frammentazione del territorio Piemontese con circa 1.200 Comuni costituisce un problema da affrontare. La Fusione di Comuni è la strada da perseguire sia per una razionalizzazione degli Enti locali, ma soprattutto per ottimizzare le poche risorse economiche che saranno disponibili. La disastrata situazione finanziaria della Regione Piemonte impone azioni in questa direzione urgenti e incisive.