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AMIunaCittà NEWSLETTER Gennaio 2016

In questo 10º numero della nostra newsletter, vi presentiamo l’intervista a Tommaso Gilardini, continuando così la ricognizione delle opinioni delle forze politiche presenti nel consiglio comunale di Ivrea. Come già annunciato, tale ricognizione si concluderà nel prossimo numero con l’intervista a Matteo Fanciulli segretario del Partito Democratico di Ivrea.
Richiamiamo poi l’attenzione di cittadini ed amministratori su una recente proposta di legge, nella quale si propone la soglia minima di 5000 abitanti per l’esistenza di un comune. Si tratta evidentemente di una misura forte per il riassetto amministrativo del Paese. Tale proposta ha soprattutto obiettivi di razionalizzazione e di risparmio, oltre che di qualità e quantità dei servizi disponibili per i cittadini. È un indizio preciso del panorama prossimo venturo. Vogliamo ancora sottolineare come il nostro progetto della città diffusa, pur condividendo gli obiettivi di razionalizzazione e di risparmio, ha soprattutto il fine di predisporre condizioni favorevoli allo sviluppo ed alla crescita del nostro territorio.
Vogliamo ricordare, in una breve nota, come la recente legge di stabilità ha modificato gli incentivi statali alle fusioni. Come forse qualcuno ricorda, si è temuto che la rimozione dei vincoli del patto di stabilità, potesse ridurre significativamente l’attrattività economico finanziaria dei percorsi di fusione. Alla luce di quanto oggi definito nella legge, possiamo tranquillamente affermare che tale pericolo è scongiurato.
In ultimo siamo lieti di ricordare che, non solo nella zona di Chivasso, come già ampiamente illustrato, si sono avviati progetti simili a quello della città diffusa, ma che anche nelle zone omogenee di Rivarolo e di Cuorgnè si inizia a parlare di aggregazioni e di fusione. Su ciò torneremo nei prossimi numeri.




INTERVISTA A TOMMASO GILARDINI, CONSIGLIERE COMUNALE DELLA LISTA COSCIENZA CIVICA EPOREDIESE E DIRIGENTE PROVINCIALE DI FORZA ITALIA

Quali sono i problemi principali che individua nella nostra Zona Omogenea?

Sarebbe facile affermare che il problema principale è un problema di struttura allargato ad un contesto economico industriale o para industriale. Il problema vero è la mancanza di una leadership. Nel nostro territorio, in questo momento, non ci sono realtà o figure forti in grado di spingere a fare sistema, con spirito aggregativo: più che zona omogenea si diventa “l’ultima provincia dell’impero”. Il primo cacicco che arriva da Torino trova terreno fertile non sicuramente per battaglie di sistema, ma per situazioni dove il vassallo omaggia il sovrano. È un grosso problema che c’è, che non c’era prima, e che si è accentuato in quest’ultimo periodo. Forse una quindicina di anni fa c’era qualcosa che richiamava una certa leadership, che aveva portato a tentavi di piani strategici non andati a buon fine, ma che in qualche modo fornivano degli stimoli.

Altre realtà omogenee simili alla nostra nel contesto nazionale, che si sono trovate in questa situazione, si sono gradualmente e progressivamente periferizzate. La mancanza di una leadership non è l’unica difficoltà ovviamente.

In questo contesto come vede collocata la Città di Ivrea?
Ivrea ha una grave responsabilità. Ivrea intesa come sistema, vale a dire non solo il mondo istituzionale, ma anche quello industriale, sindacale, etc., perché ha al suo interno - e qui parlo da giovane- un continuo pensare ad una grandeur che non c’è più. Era una grandeur che ci ha permesso di essere autosufficienti in tante cose, ad esempio sui trasporti. Prova ne è che se ora siamo come zona omogenea, come città, periferici anche da questo punto di vista, è perché all’epoca non avevamo bisogno di integrazione: c’era tutta una serie di strutture alternative che rendeva marginale quell’esigenza. Se noi fossimo stati come le cittadine della Brianza o del varesotto, oggi arriveremmo a Torino in 30 minuti con metropolitane veloci o quant’altro.
Ma Ivrea non ha una gran voglia di sporcarsi le mani, di ricominciare daccapo e trovare soluzioni nuove, perché rimane appesa ad un passato che non c’è più. Ma soprattutto è vista dalle altre realtà della zona omogenea con un po’ di diffidenza. I campanili, che possono essere e sono spesso un ostacolo a pensare in comune, lamentano il fatto di non sentirsi trattati in modo paritario e questo per un atteggiamento, a volte anche personale, che la Città ha nei loro confronti. Nel momento in cui si fa un progetto insieme non si deve fare come usa fare Torino, che ti convoca a casa sua ti da mangiare e ti dice ciò che devi fare. In un percorso di condivisione occorre organizzare una bella cena insieme al cui menù tutti contribuiscono. Questa è la logica. Nel momento in cui alcune realtà prima ignorate oggi vengono chiamate al tavolo, non ci stanno più. Mi riferisco alle unioni dei comuni per intenderci, dove Ivrea non è riuscita neppure a coinvolgere Cascinette e Banchette e questo fa capire che c’è qualcosa che non funziona. Ivrea ha una maggiore responsabilità ma deve avere anche una maggiore umiltà, il che non significa non avere ambizione, anche perché se non la fa Ivrea questa attività non c’è nessun altro in grado di farlo, ma deve farlo in modo diverso.

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NON MENO DI 5000 ABITANTI PER COMUNE?
UNA PROPOSTA DI LEGGE DEL PD IN QUESTO SENSO
In Italia, il 70% degli oltre 8000 comuni ha una dimensione inferiore a 5000 abitanti. Per inciso, questa percentuale sale a 88% in Piemonte e a ben 97% nella Zona Omogenea Eporediese. È ormai dimostrato che una tale frammentazione del territorio non consente uno svolgimento efficace ed efficiente dell’azione amministrativa. L’ottimizzazione delle risorse e la diminuzione della spesa pro-capite si ottengono in particolar modo nella fascia dei comuni tra 5000 e 10000 abitanti.
La soluzione da tempo incoraggiata dallo Stato per superare tale inefficienza, è quella della fusione dei comuni piccoli, definita nel DL 267 del 2000 lo strumento più idoneo per superare l’attuale frammentarietà dei comuni italiani. Tuttavia, l’efficacia di questa norma e di quelle che l’hanno poi completata, in particolare per fissare l’entità dei contributi straordinari statali nonché le varie agevolazioni a livello regionale, è rimasta finora limitata.
Per accelerare l’adesione dei comuni al procedimento di fusione, una proposta di legge presentata l’11 novembre scorso presentata dai deputati LODOLINI, FANUCCI, ZOGGIA, ASCANI, PAOLA BOLDRINI, BRUNO BOSSIO, FEDI, FRAGOMELI, GANDOLFI, GIUSEPPE GUERINI, LATTUCA, NACCARATO, PATRIARCA, PELILLO, PETRINI, SALVATORE PICCOLO, PORTA, SBROLLINI, VALERIA VALENTE, ZAN dispone un principio molto semplice: “Un comune non può avere una popolazione inferiore a 5000 abitanti”. Tale principio verrebbe a modificare l’articolo 13 del testo unico di cui al DL citato sopra.
A questa proposta si giunge a partire da diverse considerazioni, tra le quali ci sembra rilevante la seguente: “ Il processo di revisione costituzionale in atto, tra l’altro, prevede il superamento della provincia quale ente territoriale sovraordinato con competenze di area vasta. La fusione dei piccoli comuni diventa pertanto ineludibile per l’esercizio di funzioni che erano in capo alle province e che l’eccessiva frammentazione amministrativa in piccoli comuni finirebbe per ricondurre in capo alle regioni, determinando il rischio di un neo-centralismo di tipo regionale.

Le disposizioni transitorie della proposta di legge sono piuttosto rigide: lasciano ventiquattro mesi ai comuni piccoli per adeguarsi avviando autonomamente un procedimento di fusione. Passato questo periodo, saranno le regioni a provvedere a fusioni obbligatorie e in tale caso, il nuovo ente formato in seguito alla fusione non potrà più beneficiare dei vari contributi e agevolazioni attualmente predisposti.
Per evitare ulteriori lentezze da parte delle regioni, la proposta dispone una riduzione di una quota pari al 50% dei trasferimenti erariali in loro favore (diversi da quelli destinati al Servizio sanitario e al trasporto pubblico locale) se queste non avranno, entro un totale di quarantotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, provveduto alla fusione obbligatoria dei comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti.
La proposta, che andrà in discussione presto, segna in modo molto chiaro l’orientamento della maggioranza parlamentare e non prende in considerazione nessuna forma di aggregazione alternativa alla fusione dei comuni.



FUSIONI DI COMUNI: NEL 2016 AUMENTANO I CONTRIBUTI STATALI

A decorrere dall’anno 2013, il contributo straordinario erogato dallo Stato al fine di favorire la fusione dei comuni, era stato fissato dal Decreto-Legge 95 del 6 luglio 2012 (noto come “Decreto Spending Review”) in un importo pari al 20% dei trasferimenti erariali attribuiti per l’anno 2010, in misura non superiore a 1,5 milioni di euro, e nel limite degli stanziamenti previsti.
La legge di Stabilità 2016 dispone un notevole aumento di questo contributo a favore degli enti formati in seguito alla fusione di comuni, anche per incorporazione: a decorrere dall’anno 2016, gli enti riceveranno un importo commisurato al 40% dei trasferimenti erariali attribuiti per l’anno 2010 e viene inoltre alzato il plafond da 1,5 a 2 milioni di euro per ciascun ente beneficiario.
Rimane invariata la durata di dieci anni, durante la quale verranno erogati ali contributi (un decimo dell’importo totale ogni anno), periodo decorrente dalla data dell’istituzione effettiva del nuovo comune.
Con decreto del Ministero dell’Interno sono disciplinate le modalità di riparto del contributo: in caso di fabbisogno eccedente le disponibilità, verrà data la priorità alle fusioni o incorporazioni aventi maggiore anzianità. In caso contrario, le eccedenze saranno ripartite a favore degli enti in base alla popolazione e al numero dei comuni originari.
Nel caso del progetto AMIunaCittà, che prevede la fusione in un ente unico dei 58 comuni della Zone Eporediese, queste nuove misure permettono di preventivare contributi statali pari a 20 milioni di euro (anziché 15 milioni negli anni passati), sempre da sommare ai contributi e agevolazioni regionali.